COINCIDENZE

Immobile in una stanza d’ospedale, il battito delle ciglia
come unico modo per comunicare, Maria si trova al centro
di un’oscura trama. Una serie di efferati omicidi segue la
sua aggressione, apparentemente senza un senso, e solo
lei può svelare qual è quel segreto che ha protetto anche
a costo della sua stessa vita. Ma non può. O non vuole.
A indagare su un enigma che, di giorno in giorno, s’infittisce
sempre più, l’ispettore Armando Grossi, alle prese, oltre che
col caso, anche con i fantasmi del proprio passato. E poi,
a complicare ulteriormente la matassa, un’inaudita serie di
coincidenze, che portano gli inquirenti in un viaggio nel tempo
e nello spazio, sulle tracce dei Monaci Cistercensi, di San
Bernardo da Clairvaux e di un mistero nascosto in Francia,
tra le rovine dell’abbazia di Cluny.

In copertina: opera di Germano Serafini, RED-PAGES horizontal

Quello che segue è l’inizio del romanzo Coincidenze pubblicato nel mese di Dicembre 2007. Edito da Il Filo. I fatti ed i nomi menzionati sono inventati e casuali.

New York.
«Per quando è previsto?».
«Stanotte!» rispose un’altra persona dall’Italia.
«Lo troverai?».
«So che lo tiene in casa… tu, piuttosto, se trovo quello che
vuoi, tieni pronti i cento milioni di dollari».
«Sono già qui… richiamami».
«Ok».

* * *

13 maggio (sabato)
Il sole era calato da poco, il cielo, di un colore ambrato, preludeva
a una fresca serata di primavera.
Dalla terrazza si poteva godere di un bel panorama. Maria era
poggiata sulla ringhiera a osservare le luci della città che man
mano cominciavano ad accendersi. Era assorta a contemplare
il paesaggio e ad ascoltare la musica che proveniva dallo stereo
nel salone, quando fu distratta dallo squillo del telefono.
«Pronto?».
«Ci sei, allora. Stavo per chiamarti sul cellulare».
«Sei tu, Giorgio. Ero fuori in terrazza e non avevo sentito il
telefono. Dimmi… volevi sapere per stasera?».
«Sì… allora sei con noi? Ti passo a prendere?».
«Non mi andrebbe per niente, ma forse è meglio che esca un
po’ e mi distragga. Lo sai che è un periodo di merda, questo».
«Lo so, ma devi uscire da questa apatia, ne abbiamo parlato
tante volte, sai come la penso. E poi è sabato sera».
«Più facile a dirsi che a farsi, ma chi non ha mai avuto un
esaurimento nervoso non sa cosa vuol dire» fece un sospiro,
poi riprese «A che ora passi?».
«Alle dieci, va bene?».
«Ok, fammi uno squillo sul cellulare e scendo. A dopo».

* * *

Maria era una donna di trentacinque anni, mora, molto bella,
anche se non si considerava tale, amava vestirsi di nero e
soprattutto amava la notte. A quindici anni aveva perso i genitori
in un brutto incidente. A prendersi cura di lei ci pensò sua
zia Lilly, la sorella del padre, una donna che aveva rappresentato
tutto per lei. L’incredibile somiglianza tra le due faceva
pensare che fosse la madre anziché la zia.
Viveva in un bell’appartamento in un palazzo d’epoca affacciato
sulla città lasciato in eredità a sua zia da lontani parenti
e che lei aveva dato a sua nipote quando decise di andare a
vivere da sola.
Maria era sempre stata una ragazza solare ma da un anno
stava attraversando un periodo particolarmente brutto che
via via era andato peggiorando negli ultimi mesi con un vero
e proprio esaurimento nervoso. Da un anno le accadeva di
tutto, a cominciare dalla sua attività, una società che si occupava
di pubblicità, che non navigava in buone acque. Investimenti
sbagliati e alcuni clienti che non pagavano le stavano
creando non pochi problemi. Poi c’era la brutta storia con
un uomo di dieci anni più grande, sposato e con due figli;
le aveva sempre assicurato che alla prima occasione avrebbe
mollato la moglie, ma quell’occasione non si era mai presentata
in tre anni, anzi l’occasione che si presentò fu quella di
mollare lei, dal giorno alla notte, senza motivo. Erano passati
due mesi da allora, e di Alessandro neanche l’ombra. Ma ciò
che la faceva stare male era quanto accaduto quattro mesi
prima.
Quel giorno erano esattamente quattro mesi dall’interruzione
di gravidanza. S’era fatta convincere da Alessandro.

* * *

Dopo una doccia e una cena frugale, Maria, in attesa che
Giorgio e gli altri la andassero a prendere, pensò di farsi i
tarocchi. Era piuttosto esperta in materia, oltre che fissata.
Mentre stava girando le carte vide una presenza al di là del
vetro, sulla terrazza. Interruppe ciò che stava facendo e andò
verso la finestra. Probabilmente aveva lasciato fuori Tom,
l’amato gatto nero. Si mosse verso la finestra e, mentre stava
aprendo, il miagolio dell’animale la fece sobbalzare. Si voltò
e vide Tom, intento a leccarsi le zampe, sul tavolo sopra i tarocchi
ancora coperti per metà. Che cosa aveva visto fuori la
terrazza? Maria, che in quel momento aveva il cuore in gola
per lo spavento, uscì fuori. Guardò a destra e sinistra ma non
vide alcunché di strano.
Da un po’ di tempo avvertiva come delle presenze intorno
a lei, per questo era diventata sempre più chiusa e diffidente
verso le persone, soprattutto verso chi non conosceva. Spesso
si sentiva come se la stessero osservando. Pensava sempre che
qualcuno la seguisse. Delle volte viaggiava con la mente pensando
di trovarsi in luoghi esotici dove il tempo scorre lento,
lontano dalla realtà in cui viveva e che non riconosceva più
come la sua realtà.
Venne scossa dallo squillo del cellulare, corse a prenderlo.
Era Giorgio. Aveva fatto ben cinque chiamate prima che tornasse
nel mondo reale; era ancora fuori in terrazza a cercare
di capire cosa potesse essere ciò che aveva visto alcuni minuti
prima scorrere dietro la finestra. Indossato il trench di pelle
nero, prese la borsa e uscì.
Dopo aver assistito al concerto di un gruppo dark, i ragazzi
scesero in pista a scatenarsi e Maria con loro; mente ballava si
guardava continuamente intorno come per scorgere qualcuno
che la osservasse. Anche in una confusione come quella avvertiva
una strana presenza.
«Andiamo a bere qualcosa?» le chiese Giorgio a un certo
punto.
«Ok».
«Silvia, vieni con noi? Stiamo andando al bar».
«Vi raggiungo dopo».
Al bar Giorgio chiese a Maria cosa prendesse.
«Gin tonic, grazie».
«Ti stavo osservando. Sei più strana del solito stasera. Anzi a
dire il vero ultimamente hai peggiorato. Non sei più te stessa,
non ti riconosco più».
«Non rompere Giorgio, non mi va di parlare».
«Ti dico queste cose perché mi preoccupo. Lo sai quanto
tengo a te».
Odiava il fatto che gli altri notassero il suo stato d’animo.
«Vorrei andare via» disse lei.
«Rimaniamo ancora un’ora e poi andiamo tutti insieme».
«Non mi va più di rimanere».
«Va bene. Provo a chiedere a Silvia se le va di andare via ora».
«Se non le va, non ti preoccupate per me, prenderò un taxi.
A quest’ora, in quindici minuti sono a casa».
«Aspettami qui, torno subito». Giorgio tornò dove erano i
ragazzi.
Pochi minuti e fu di ritorno.
«… neanche glielo ho chiesto, ho visto che sta parlando con
un tizio. Deve averlo conosciuto ora. Non verrà mai via adesso.
La conosci, no?».
«E gli altri?» chiese lei.
«Hanno intenzione di rimanere ancora e poi andare a fare
colazione in centro».
«Immaginavo. Comunque ho già chiamato un taxi. Tra dieci
minuti sarà qui fuori».
«Facciamo così, ti accompagno e poi ritorno. Non mi va che
vai da sola!» propose lui.
«Dai… lascia stare. Non ti preoccupare. In pochi minuti sarò
a casa. Saluta tu gli altri per me».
«Come vuoi!» si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia.
L’aria fresca le colpì il viso piacevolmente, le orecchie le
fischiavano a causa dell’alta musica. Il taxi sarebbe arrivato
entro pochi minuti.
Improvvisamente Maria avvertì una presenza nel vicolo di
fianco all’entrata del locale. Si voltò e vide una persona nella
penombra, ma non riuscì a distinguere chi fosse.
Iniziò a incamminarsi verso di lei. Maria attraversò la strada
a passo veloce. Si girò e quella presenza era ancora lì che camminava
verso la sua direzione. Improvvisamente sentì chiamarsi
per nome.
«Maria… aspetta!».
Un brivido le percorse la schiena. Non riconobbe nessuno.
La persona indossava un abito scuro ma non riuscì a scorgerne
il volto, era coperto dalle ombre.
In quel momento giunse il taxi. Maria si voltò di nuovo senza
smettere di camminare e quasi stupita notò che nessuno la
stava seguendo.
«Come al solito mi sono fatta prendere dal panico senza
motivo, magari mi ha scambiato per qualcuna che ha il mio
stesso nome» disse tra sé e sé.
Il taxi correva veloce per le strade deserte della città. In un
quarto d’ora giunse sotto casa. Per tutto il tragitto il tassista
non aveva mai parlato. Maria pagò e salutò.
«Grazie e buonanotte».
«Grazie a lei signorina e, mi raccomando, controlli di non
aver dimenticato nulla».
«Come? Dimenticato?».
«Sì, dietro al sedile. Sa, la stavo osservando dallo specchio e
lei ha un’aria così triste e distratta» le disse il tassista.
«No… non credo, no. Grazie… buonanotte!».
Maria si avviò verso il cancello.
Il tassista girò leggermente lo specchietto retrovisore e seguì
con lo sguardo la ragazza fino a quando vide il cancello
chiudersi alle sue spalle.
Entrata in casa, non trovò nemmeno la forza di spogliarsi e
mettersi al letto. Gettò la borsa e le chiavi in terra, spense la
luce e si lasciò cadere sul divano scossa e distrutta.
Era quasi l’alba, un alito d’aria fresca le accarezzò il viso, era
ancora semiaddormentata quando cominciò ad avvertire una
pressione intorno al collo e una strana sensazione di vuoto, le
sembrava quasi di volare.
«Ciao… Maria!» le sussurrò una voce.
Maria aprì di colpo gli occhi e respirando affannosamente
si guardò intorno. Aveva la vista offuscata e le girava la testa,
si sentiva intontita come se avesse bevuto qualche bicchiere
di troppo.
Il cuore batteva fortissimo. Passarono pochi secondi quando
realizzò di trovarsi in piedi sul cornicione al di là della
ringhiera sulla terrazza e con una spessa corda intorno al
collo.Aveva appena la forza di tenersi in piedi. Una pressione intorno
ai polsi non le permetteva di muovere le mani e la sosteneva.
Pian piano iniziò a mettere a fuoco.
In preda al terrore, si accorse che davanti a sé c’era una persona
vestita di nero che la fissava e che la teneva per le braccia.
All’improvviso la presa venne meno. Perse l’equilibrio e cadde
all’indietro.
Poi il nulla.